La normativa italiana sulla vendita via Internet (che recepisce quella europea) offre una grande tutela al consumatore. Anche ad acquisto ultimato.
Abbiamo già parlato del diritto di recesso, in particolare facendo riferimento all’obbligo di informazione a cui sono tenuti i rivenditori. Tali disposizioni sono contenute nel decreto legislativo 22/5/99 n. 185. Nello stesso decreto si puntualizza anche in maniera dettagliata le modalità d’applicazione del diritto di recesso, o diritto di ripensamento in senso più lato. Di questo abbiamo già dato una sintesi, ma è ora il caso di verificare nel dettaglio le sue caratteristiche.
A chi si applica
Il diritto di recesso non copre ogni acquirente. La prima limitazione è la sua applicazione soltanto ai consumatori. Nonostante i tentativi passati di interpretare in modo allargato tale termine, è ormai assodato che con tale termine si possa individuare soltanto la persona fisica che agisce al di fuori della propria attività professionale. Il Codice Civile, infatti, lo designa in questo modo: “il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” (art. 1469 bis). In sostanza, aziende e professionisti con partita Iva non possono far valere il diritto di recesso per acquisti effettuati in tale veste.
Quando si applica
Inoltre, un’ulteriore limitazione è da registrare in merito alle occasioni di vendita della sua applicazione. Infatti, tale possibilità è data soltanto per gli acquisti effettuati a distanza (tra cui rientrano i casi di e-commerce) e per quelli stipulati fuori dai locali commerciali. In questi casi, il legislatore ha ritenuto di individuare delle condizioni di debolezza del consumatore all’atto della conclusione dell’acquisto, e pertanto ha ritenuto di garantirlo concedendogli tale diritto. Pertanto, è opportuno valutare con attenzione il momento conclusivo dell’acquisto. Infatti, una compravendita online può anche limitarsi all’ordinazione, con il vero e proprio acquisto rimandato a un punto-vendita fisico, dove ritirare immediatamente il bene. In questi casi, l’acquisto è concluso in un negozio, e quindi salta la possibilità di far valere il diritto di recesso.
Le esclusioni
Il diritto di recesso per le compravendite concluse a distanza non può essere applicato in questi casi:
a) per la fornitura di servizi la cui esecuzione sia iniziata, con l’accordo del consumatore, prima della scadenza del termine di sette giorni.
b) per la fornitura di beni o servizi, il cui prezzo è legato a fluttuazioni dei tassi del mercato finanziario che il fornitore non è in grado di controllare.
c) per la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati o che, per loro natura, non possono essere rispediti o rischiano di deteriorarsi o alterarsi rapidamente.
d) per la fornitura di prodotti audiovisivi o di software informatici sigillati, aperti dal consumatore.
e) per la fornitura di giornali, periodici e riviste.
f) per i servizi di scommesse e lotterie.
È evidente che nella previsione indicata al punto c) si possono celare delle insidie. I beni confezionati su misura sono quelli effettivamente realizzati ad personam: ovviamente non è tale la scelta del colore del bene, per esempio, e neppure il bene che risulti dall’accostamento di più parti standard. I beni personalizzati sono per esempio medaglie o bracciali con incisi i nomi o le date di nascita, ma non quelli con prestampato un nome di persona. Infine, i beni che non possono essere rispediti o che rischiano di deteriorarsi sono essenzialmente i generi alimentari.
Naturalmente sono validi accordi diversi tra venditore e acquirente anche rispetto alle categorie citate da a) ad f) se a maggior tutela dell’acquirente.
Il recesso vero e proprio
Il diritto di recesso può essere esercitato dal consumatore in qualunque caso di contratto a distanza, senza penalità e senza alcun obbligo di specificare il motivo. Per quanto riguarda l’acquisto di beni, tale diritto si esercita entro dieci giorni lavorativi dal ricevimento della lettera a mezzo lettera raccomandata oppure anche per fax o telegramma (a patto che sia confermato da raccomandata entro 48 ore). Per il computo dei giorni, si considera esercitato nel momento della spedizione della raccomandata. Tale termine di dieci giorni diventa di tre mesi se il fornitore non ha soddisfatto gli obblighi d’informazione previsti dal decreto legislativo 185/99.
Nel caso d’erogazione di servizi, il diritto di recesso non può essere esercitato nel caso di fornitura iniziata prima dei dieci giorni. Ovviamente, sono ammessi accordi diversi (più favorevoli al consumatore) e altrettanto ovviamente il consumatore deve avere dato il suo assenso all’anticipazione dell’inizio d’erogazione del servizio.
I costi
L’acquirente che esercita il diritto di recesso ha diritto alla restituzione dell’intera somma dell’acquisto. Anche le eventuali spese di spedizione devono essere rimborsate se comprese nel prezzo, mentre se sono state addebitate a parte, e con l’opportuna indicazione, non dovranno essere rimborsate. Il rivenditore non può peraltro addebitare all’acquirente alcun onere aggiuntivo (neppure i costi bancari per l’eventuale versamento). Rimangono a carico dell’acquirente le sole spese di spedizione per la restituzione del bene. Il venditore ha tempo 30 giorni per rimborsare l’acquirente.
Il recesso a bene già consegnato
Nel caso in cui la merce sia già stata consegnata, il consumatore è tenuto a restituirlo o a metterlo a disposizione del fornitore (o della persona da questi designata), secondo le modalità ed i tempi previsti dal contratto. Tali modalità o tempi, però, non possono comportare alcuna penalità per il consumatore. Pertanto, il termine di tempo non potrà essere inferiore a dieci giorni e l’unica condizione inderogabile è la sostanziale integrità della merce (cioè che sia stata custodita ed eventualmente usata con normale diligenza). In sostanza, il diritto di recesso non può essere limitato da clausole contrattuali imposte dal venditore. Per esempio, quindi, è vietato imporre condizioni quali l’identificazione del bene, la sua restituzione nell’imballo originale o senza apertura dell’imballo, la compilazione di una particolare modulistica o il pagamento di costi amministrativi per il disbrigo della pratica.
Le forniture non richieste
Il citato decreto si occupa anche delle cosiddette vendite aggressive, tutelando il consumatore. All’articolo 9 si cita espressamente: “il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. In ogni caso la mancata risposta non significa consenso”. Da ciò si deduce che nel caso di attivazione di servizi Internet non richiesti, il consumatore non sia tenuto a versare alcuna somma all’erogatore del servizio stesso. L’invio di beni o l’attivazione di servizi a titolo gratuito come campioni di prodotto o di omaggio è possibile, ma a nessun titolo può essere richiesto un pagamento per tale operazione, nemmeno in un tempo differito, oppure posti vincoli a carico del consumatore. Il suo silenzio alla richiesta di pagamento è del tutto ininfluente. La stessa prassi è da considerarsi valida nel caso di fornitura differente da quella pattuita o di fornitura difettosa.
L’obbligo di tale diritto
I venditori sono obbligati ad attenersi in modo stringente a tale normativa e a citarla in ogni operazione di vendita. Infatti, il diritto di recesso è irrinunciabile ed è nulla ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni descritte. Le sanzioni per chi non rispetta tali obblighi possono raggiungere anche la cifra di 10.000 euro (fatto salvo l’ulteriore ricorso alla giustizia penale qualora ne ricorrano gli estremi). Per ogni controversia, la competenza territoriale è del giudice civile del luogo di residenza o del domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello stato.
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